- SUORA, SUORA, DOV’E’ L’USCITA? Mi sono perso.-
- Ma benedetto ragazzo, cosa fai ancora qui? Vuoi morire? meno male che ti sei perso! L’ingresso dell'ospedale è sotto tiro della mitragliatrice, I tedeschi hanno già ucciso due medici.-
- Mi avevano fregato la valigia, suora. Ho guardato sotto tutti i letti, ma, alla fine, l'ho trovata!-
- Ma vai! Scappa… dal cortile! muoviti!-
Le suore dell'ospedale militare erano protettive con noi ventenni, imboscati negli ospedali per non partire per la Russia.Noi volevamo vivere e non andare a rimpiazzare altri ventenni morti sepolti sotto la neve.E poi perchè avremmo dovuto andare là ad ammazzare quella povera gente che se ne stava bella tranquilla a casa sua? Io proprio non lo capivo. E poi non c’era proprio da fidarsi di quei due matti che avevano dichiarato guerra. Se l’ invasione della Russia l'avessero organizzata i boy scout avrebbe avuto più successo.I nostri treni alla frontiera russa dovevano fermarsi perchè i binari russi erano piu larghi. Mi sembra di sentirle, le bestemmie, quando i nostri soldati si sono resi conto che dovevano scendere e andare a conquistare la Russia a piedi. Oltretutto con gli scarponi che non tenevano l'acqua. O porco di qui, porco di li, porco di la.- Va bhè…ma abbiamo dietro i camion.- - Ma non partono. Chi è quel cretino che non ha messo l’antigelo? – - eh, ma siamo in settembre …-- Si ma non siamo a Riccione, deficiente-
Ci sarebbe stato da ridere, se non ci fossero stati tanti ragazzi morti per niente . Comunque dovevo uscire, e in fretta, dall’ospedale, se non volevo finire davanti al plotone d’esecuzione. Le camerate erano oramai deserte. Ah, No, proprio nel letto sotto la finestra che dovevo scavalcare c’era uno che si lamentava e molto.Aveva su per giu la mia età. Avrei potuto scavalcarlo e uscire, ma come si fa?? Me lo caricai sulle spalle, e, in qualche modo, con la forza della disperazione, ci ritrovammo fuori dall’ospedale.Avevo la schiena a pezzi!Quanto pesava!
-Vai a casa, vai a casa-, gli gridavo.
-Casa? Home? far away…lontano-
-Eh che ne so, vai dai tuoi amici, vai…dove vuoi, ma non continuare a venirmi dietro.- Ma lui, con smorfie di dolore, si trascinava penosamente dietro di me. Cosa dovevo fare?Lasciarlo li?Me lo ricaricai di nuovo sulla schiena e lo portai a casa mia .
Il volto terreo di mio padre, quando lo vide, mi fece capire la gravità della situazione. Avevo portato a casa un soldato americano ferito e gravemente. C’era la fucilazione per tutta la famiglia. Quella notte mio padre ed io scavammo una buca nel campo dietro casa. Indicandomi la vanga e la carriola, mi disse, con gli occhi lucidi ma determinati: “Se muore devi arrangiarti da solo, io e tua madre domani ce ne andiamo”. L’unico pensiero che mi attraversò la mente in quel momento fu che la carriola era molto piccola e l’americano molto lungo.E io non sapevo quanto poteva durare il rigor mortis .
L’americano, contro tutte le previsioni, non morì. Rimase DUE anni con me, a casa mia.Nella stanza onnicomprensiva con latrina privata in cortile. Una corda sempre legata alla finestra del solaio, pronta per la fuga nei campi. Dissi ai miei vicini che era mio cugino, e che non parlava perchè era stato operato alle corde vocali. Nessuno sospettò.Nemmeno il Carlone, un mio vicino di casa, fascista tanto sfegatato quanto sfigato. Per mettersi in mostra nel partito, dove non contava niente, si dava un gran daffare a tentare di smascherare, senza successo, presunti traditori. Teneva sotto controllo, con grande impegno, il nostro cortile come se fosse il suo feudo privato. Però Io non lo preoccupavo, perché non contavo niente, ne da una parte, ne dall’altra, per lui ero assolutamente inoffensivo. E quindi quel ragazzone muto, mio dichiarato parente, la cui cattura poteva essere il suo riscatto all’interno del partito, gli passeggiava sotto il naso senza che lui avesse un minimo di sospetto. Io non davo fastidio a nessuno perchè La mia filosofia era: vivi e lascia vivere, dai una mano se puoi , scansa gli spigoli.Finalmente trovai un contatto con il comando militare americano e lo portai da loro. Ho sudato freddo fino a che non l'ho consegnato ai SUOI.I suoi divennero anche i NOSTRI poco tempo dopo. Per me, che comperavo benzina per la mia moto al mercato nero, anche i liberatori erano uno spigolo da schivare.Gli americani non erano teneri con chi violava le regole.Così quel giorno che una jeep militare entrò sgommando nel cortile, io entrai sgommando nella latrina.Erano in quattro in divisa militare.Si accorsero della mia mossa e bussarono energicamente alla porta del gabinetto, gridando: SACCANI UMBERTO? Lo sapevo! Cercavano me!Uscii con le mani alzate.Si ero io Saccani Umberto. Un ordine secco del più alto in grado e tutti e quattro scattarono sull’attenti, sbattendo i tacchi e facendomi il saluto militare. You..EROE! Allegramente mi presero per braccia e gambe e mi issarono sulla jeep. Io stavo opponendo resistenza, quando vidi sulla porta di casa mio padre, che aveva un sorriso orgoglioso da orecchio a orecchio. Finalmente a testa alta, mi faceva segno con la mano “vai! Vai!” Uscimmo dal cortile a gran velocità sulla jeep scoperta. Il Carlone che, nel frattempo era diventato un devoto filoamericano, aveva osservato tutto da dietro la finestra. La moglie, nota capisona del cortile, lo apostrofo’ secca: -E quel li l’era inoffensivo eh! L’han saludà me un general. Ti te capisset propri nient.- E il Carlone restò li a bocca aperta dietro la finestra, rimuginando tra sè e sè:
- Ma…mi sono perso qualcosa?-
La vicenda è realmente accaduta. L'americano era un soldato sudafricano di Albertville, della coalizione americana. Il suo nome poteva essere kenfrish Ceril. Mi piacerebbe poterlo ritrovare o ritrovare almeno i figli. Mio padre lo desiderava tanto.Mi ha tanto parlato di lui. Chissà se qualcuno di Albertville entra in questo sito e ne riconosce il nome.